mercoledì 7 agosto 2019

Circo Massimo - vedute di Roma


Oggi possiamo solo contemplare alcune spoglie ossa, ma il Circus Maximus era la più imponente, maestosa e grande struttura per spettacoli dell'era romana e dell'intera storia dell'uomo.

Non faccio fatica a crederlo, vedendo ciò che si presenta ai miei occhi.

Seduto su questa panchina, situata probabilmente all'altezza di alcuni dei gradoni più alti di quelle che una volta erano le tribune ed oggi conosciuto come Belvedere Romolo e Remo, mi isolo dagli aggressivi rumori della città moderna e provo ad immaginare quelli dell'età repubblicana e poi imperiale.

Sono tra il Palatino e l'Aventino, il cuore di Roma, una parte della città intimamente legata alla storia più arcaica dell'urbe stessa: nell'antica Valle Murcia (così si chiamava), si narra, avvenne l'episodio del ratto delle Sabine.

Il celebre ratto delle Sabine, compiuto da Romolo, poco dopo la fondazione di Roma del 753 a.C., nel dipinto di Pietro da Cortona.
Certo, è una leggenda, ma io sento gli echi della festa dedicata a Nettuno: fuochi, fumo, canti, danze. Poi, le urla scomposte di alcune donne che segnano l'inizio del piano di Romolo.

Mi immagino la struttura di legno e i primi spettatori in piedi. Mi domando: come sarà stata questa porzione di terra 700 anni prima di Cristo? Quale flora, quale fauna popolava questa valle?
Scorrono i fotogrammi e sarà Tarquinio Prisco a sostituire il legno con il marmo.

Quante vite di uomini, di scommettitori, di allibratori, gente comune e di rango si sono succeduti fino ad arrivare a Giulio Cesare e ad Augusto, che lo completarono e lo abbellirono.
Immagino gli sforzi, i decori, gli ingegneri, gli operai e quell'enorme obelisco che piantarono in mezzo alla spina del circo, che oggi conosciamo con il nome di Obelisco Flaminio.

I cavalli non smettono di correre, incitati dalle frusta degli aurighi e non smettono gli incitamenti del pubblico. Qui, come in tutti i circhi della vita, si consumano gioie, delusioni, intrighi, passioni ed amare illusioni.

Recita Ovidio nel libro terzo degli Amori "Non è l'interesse per i cavalli di razza che mi fa' sedere qui; in ogni modo faccio voti perché vinca la gara quello per il quale tieni tu. Io sono venuto per parlare con te e per sederti vicino, perché il sentimento d'amore che susciti in me non ti fosse ignoto. Tu guardi le corse, io guardo te: guardiamo pure entrambi quel che ci piace e lasciamo che i nostri occhi si sazino. O fortunato l'auriga, chiunque sia, per cui fai il tifo!"

E allora, immagino quale intima connessione cercavano i romani con il sacro. Laggiù, alla mia sinistra, vedo i carceres, le 12 postazioni di partenza. 12 Come i mesi dell'anno, divisi in 4 colori per differenziare le 4 stagioni. 7 invece erano i giri che i cavalli e gli equites dovevano compiere. 7 come i pianeti che girano attorno al Sole.

E agli imperatori, al sicuro nella residenza privata della Domus Augustana, quali echi arrivavano? Erano infastiditi, erano partecipi, erano esausti da tanto clamore?
Noto quanto la dimora sia vicina al circo e capisco quanto i Re e poi gli imperatori ritenessero così importanti i giochi, magari anche per capire i consensi del popolo romano.
In effetti, c'era una terrazza che dominava l'estesa pianura ove sorgeva il circo. Una vera terrazza imperiale!

Immagino le celebrazioni, e la parata militare che sfila fin dentro il circo. Il trionfo romano era la più alta ricompensa militare, un onore tributato al generale romano che si fosse distinto in battaglia riportando gloriose e prestigiose vittorie. Colori, suoni, tributi, vessilli, ovazioni e le imprecazioni di chi veniva investito da questa orgia celebrativa.

Vedo vite scorrere velocemente ed immagino le trasformazioni che quest'area ha subito nel tempo.
Vedo lo spazio rinvigorito da piante ed animali esotici, vedo battute di caccia. E poi...l'ultimo gioco, l'ultima celebrazione prima che l'area decada e venga attraversata da diversi corsi d'acqua.
Una torre, laggiù, in basso a destra, mi ricorda il periodo medievale e le consuete torri che svettavano in alcuni punti nevralgici della città.

Poi, nobili e cercatori di marmo (calciaioli) si impossessano dell'area, oramai resa pallido ricordo dei antichi fasti, e ne smantellano tutto. La denudano, depredano, distruggono.
Posso capire i nobili casati, che intuiscono il bel sentimento del Rinascimento e si abbelliscono sale e stanze, capisco i calciaioli, spesso povera gente che tenta di sbarcare il lunario distruggendo edifici romani.
D'altronde, il "sentimento" e la pratica del recupero dell'antico avviene, in modo strutturato e regolare, solo attorno al 1800 e perfezionata ed estesa solo gli inizi del 1900.

L'area subisce altre trasformazioni, ma poggiano tutte le basi sull'idea di un futuro promettente piuttosto che sulla valorizzazione del passato.

Seduto su questa panchina ho vissuto secoli di storia, ridimensionando il mio ego ma beandomi della magnificenza che ancora oggi questa città mi offre. Mi alzo, prendo il mio casco, un ultimo sguardo ed accendo il motore. A presto, Roma!

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