lunedì 2 settembre 2019

Quel fetente del navigatore

ma dove sono arrivato?
"Tra 200 metri, girare a destra".
I tuoi occhi seguono con attenzione quella freccia blu sul display e al contempo, per verifica che dal bidimensionale ci sia corrispondenza con il tridimensionale, cerchi conforto in quel cartello stradale che singolareggia (si può dire così, di un cartello solitario?) adiacente ad un incrocio.

Ti chiedi "Ma perché girare a destra quando potrei andare dritto? Eppure, dritto è più semplice. Ma perché girare....forse perché il percorso è più breve? Ma...ma io già vedo la strada laggiù...". Ma te lo chiedi in corsa, e in men che non si dica i 200 metri si sono ridotti ad una distanza che non permette indecisioni: o vai dritto o giri, perbacco!!!


E allora decidi per il sicuro, ovvero seguire le indicazioni di questi modelli matematici pieni di bytes e colori che, mannaggiailmondocane, alla fine ti portano sempre a destinazione.

Appena svolti a destra ti invade la reale ed amara consapevolezza che a quel punto sei alla mercé del navigatore. Tutto lui può! Manco più esso può, ma lui. Si, è una identità ben definita, con i suoi calcoli, le sue alternative e i suoi messaggi in codice "Tra 50 metri, girare a sinistra".

"Ma come a sinistra? Mi hai fatto girare a destra per riportarmi a sinistra? Malimejolimortacc...!"

E' un crescendo tragicomico dove la nostra compagna d'avventura (ma perché chiamarla zavorrina?) cerca di decifrare i motivi per i quali il casco a lei antecedente ondeggi e si dimeni contorcendosi in irripetibili maldicenze.

Comunque, è fatta: girando a sinistra ci si rimette al passo con la logica. Vabbè, almeno avremmo risparmiato circa 50 metri di duro e piacevole asfalto.

Macché, tempo di percorrere altri 50 metri ed i tuoi auricolari riportano la perentoria richiesta di "all'incrocio, svolta a destra".

Le variegate e dipinte emozioni scivolano dalla corteccia della dura madre fino all'amigdala (miseria come sono dotto)  ma lo fanno in ordine di importanza: atarassia indotta, sgomento iniziale, sgomento mediano, sgomento finale, sgomento persuasivo, paura, terrore profuso, rabbia, rabbia porporina, rabbia sangue accesso, rabbia distruttrice, blackout cognitivo, accettazione passiva, accettazione mediana, resilienza, affinità con i pensieri francescani, blackout cognitivo, ateismo spinto al fanatismo, muta e sincera rassegnazione, contemplazione dell'inevitabile, accettazione dell'inevitabile, sguardo cosmico, attenzione al volo degli insetti, sensibilità all'universo femminile e prima comprensione dei modelli matematici della teoria delle stringhe!
E solo a quel punto, solo a quel fottutissimo punto si verifica uno stato d'animo che ti consente di intravedere il bello in una pozza d'acqua putrida che ti assale le caviglie, o nelle indisciplinate ingoianti-buche che rendono emozionanti le traiettorie o le isolate strade mai raggiunte dal ruggito della rivoluzione industriale o gli inquisitori sguardi della isolata popolazione autoctona.

E quando oramai hai perso le speranze poiché ti accorgi che la tua direzione era verso un ipotetico nord e tu punti verso un sicuro sud che "Tra 100 metri sei arrivato a destinazione!".

Quegli ultimi 100 metri...ah! Quegli ultimi 100 metri echeggiano tra i guanciali del casco come il suadente canto delle sirene ammaliò i marinai.
Ma a me no, mannaggiaquellochehascrittolodissea, a me no!

Io sono l'Ulisse su 2 ruote, ancorato al mio ferreo manubrio che non crede finché non vede. Eh io so, oh se lo so, che gli ultimi 100 metri me li dovrò sudare e che la meta sarà tale solo quando si riveleranno le 4 nobili verità: una piazza, gente del luogo, "Sei giunto a destinazione" e l'acclamazione da eroe nella via triumphalis del luogo.

A quel punto, poggio entrambi i piedi a terra. Mi guardo attorno ma scorgo assai poco, tutto è opaco, ovattato, diluito. Poi, capisco: il sudore, il respiro affannato e le sommesse, scandite imprecazioni hanno generato un microclima idoneo alla generazione spontanea.
Accompagno il cavalletto laterale al suolo ed il terminale di scarico smette di ruggire.

Sono attimi, anzi no, sono scene che manco Vittorio De Sica, celeberrimo regista neorealista, sarebbe riuscito a catturare: fotogrammi lenti e ben scanditi.
Chiedo alla zavorrina di scendere e lei esegue con immediatezza seppur sento tremar le colei ginocchia. La sua gamba destra compie un arco esatto di 180° che manco Heater Parisi nei suoi giorni migliori avrebbe potuto eseguire. Dico solo: "Lorella Cuccarini, levate de mezzo!"

Attimi di silenzio, inquadratura tagliata, primo piano e poi stacco veloce sul piede a terra.
Io vedo ancora appannato ma riesco ad intravedere il sicuro cipiglio della mia compagna di dis-avventura. Lo sguardo è complice ed anche se alcun verbo riesce a valicare la soglia delle nostre putride visiere io-dentro-di-me-medesimo-proprio-io mi esclamo "Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per l'umanità!" Scusate, sono nato nel '69 e sono sensibile a questa frase storica, capitemi.

Comincio a vagheggiare, quasi perdo i sensi, il mio sguardo è fisso verso il centro dell'universo e cominqxio ah sbiascikar...
Stacco in primo piano: con quel minimo di dignità che mi è rimasto tiro su la visiera e l'ossigeno pulisce sguardi, polmoni e le secchezze delle labbra. Tutto ha un senso adesso, il significato della vita mi si è dispiegato e reso manifesto!

Ci togliamo il casco e quell'incertezza sui nostri volti scompare e nasce l'alba dell'uomo-che-s'è-fatto-da-sè-e-quando-lo-freghi-a-quello mentre la zavorrina realizza "Date a questa povera donna un preziosissimo calice della vostre migliore acqua, oh generosa gente del luogo".

Ci togliamo le giacche che oramai sono indistinte dalla nostra epidermide e così ci esfoliamo 2 strati di pelle. Poco importa, la meta è raggiunta. Facciamo finta di niente: è così che i duri se la intendono!

20 minutes later la scena riprende: siamo gioiosi e giocosi e famo finta de esse du' motociclisti (con la mia Honda X-ADV poi...) che la sanno lunga.

Ci raccontiamo di tutto e di come siamo sopravvissuti a questo arduo sbarco che manco in Salvate il soldato Ryan ce sarebbero riusciti.

Però, però...che momenti indimenticabili, che proficua tensione, che ammutinamento del banale che abbiamo vissuto. Uscire dalla comfort-zone è uscire dal tragitto dal punto-A al punto-B in soli 5 minuti. E' cedere all'oblio e alle sicurezze del viver quotidiano. E' affanno, perdizione ma sicura certezza della meraviglia!

E dopo una bella birra ghiacciata che già mi ha sciolto l'intestino come solo un innominabile virus sa fare, esclamo con un lieve sorriso "Che fetente...quel navigatore!".

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